La Fondazione Levi Pelloni ospite del Presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone e dell’ambasciatore della Repubblica di Polonia Anna Maria Anders.
Mercoledì 26 aprile, presso l’Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei deputati, la Fondazione Levi Pelloni è stata ospite alla proiezione in anteprima nazionale del film “Ricorda” (Rember This) sulla storia di Jan Karski, interpretato da David Strathairn diretto da Jeff Hutchens & Derek Goldman.
Un omaggio, in occasione del 78° anniversario della Festa della Liberazione dal nazifascismo, allo scrittore e attivista polacco, sposato con un’ebrea, che mostrò l’orrore della violenza nazista cercando invano di avvertire le Grandi Potenze del dramma della Shoah
Quella di Jan Karski è stata una vita straordinaria. Fu un eroe della resistenza polacca, diplomatico, intellettuale di prestigio negli Stati Uniti, anche se fu soprattutto una voce impegnata nella denuncia internazionale dell’orrore nazista. Una vita coraggiosa la cui ispirazione è stata un profondo senso della giustizia. Come polacco, qualcosa di strettamente unito a un profondo patriottismo. Una nozione morale della politica e del servizio pubblico instancabile e umile. Una testimonianza “profetica” contro l’Olocausto, l’esempio più grave delle conseguenze della negazione di Dio nel mondo contemporaneo.
All’eroe polacco è stata dedicata anche una graphic novel “Karski. L’uomo che scoprì l’Olocausto” a firma Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso destinata ad un pubblico di giovani lettori mentre il 7 Aprile 2011, sono stati dedicati un albero e un cippo nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano ad opera della Fondazione Gariwo.
Jan Karski è lo pseudonimo con cui è diventato famoso e conosciuto a livello mondiale Jan Kozielewski, esponente e protagonista della Resistenza polacca, nonché il primo a formulare il concetto di Polish Underground State in un articolo risalente al ’43. Nato a Łódź, dapprima studiò giurisprudenza e diplomazia a Leopoli e poi frequentò la scuola per ufficiali dell’artiglieria a cavallo – elementi che si riveleranno fondamentali e decisivi per la sua entrata nel movimento di resistenza. A ciò va sommata la conoscenza delle lingue, che gli rese poi facile il contatto con i più alti esponenti politici del tempo – polacchi e mondiali. Prima dello scoppio della guerra, troviamo Jan a Varsavia dove frequenta un corso di formazione per diplomatici. È nella capitale che lo sorprende e lo travolge come un’onda un ordine segreto di mobilitazione: doveva lasciare la città per raggiungere il reggimento, aveva 25 anni.
Jan Karski (1914-2000), nome di battaglia di Jan Kozielewski. Era il più giovane di otto figli di una famiglia di Łódź. Studente modello, venne presto reclutato dal servizio diplomatico polacco, che gli assegnò incarichi a Parigi e a Londra. Nel 1939 si arruolò nella cavalleria. Quando il 1°Settembre la Polonia fu invasa dai tedeschi, e due settimane dopo dai sovietici (in base al patto Ribbentrop-Molotov), fu catturato e richiuso in un campo di prigionia sovietico. La maggior parte dei suoi compagni fu fucilata. Karski riuscì rocambolescamente a scappare e si unì al movimento di resistenza AK (Armja Krajowa: Esercito nazionale), divenendone presto un importante esponente, incaricato di tenere i contatti tra i partigiani polacchi e l’Occidente. In seguito si fece catturare dai tedeschi per poter vedere di persona come venivano trattati i prigionieri, soprattutto ebrei. Ma venne preso in consegna dalla Gestapo. Temendo di rivelare qualcosa sotto tortura si tagliò le vene, ma venne salvato e ricoverato in ospedale, da dove un commando della Resistenza lo aiutò a evadere e a riprendere la missione di ufficiale di collegamento
Gli venne affidato l’incarico, per il quale ci voleva anche una notevole dote di coraggio, di entrare per due volte nel Ghetto di Varsavia. Nell’agosto 1942, vi entrò dallo scantinato di una casa nella parte “ariana” sul confine del Ghetto, travestito con abiti cenciosi su cui era cucita la stella di David.
Lo accompagnarono Menachem Kirschenbaum e l’avvocato Leon Feiner, che per tutta la durata della visita continuò a mormorargli: “Ricordati di questo, ricordatelo”. Poi l’organizzazione clandestina ebraica lo fece andare a Izbica, un paesino vicino Varsavia, punto di raccolta e smistamento in cui migliaia di ebrei cecoslovacchi venivano perquisiti, spogliati e messi su camion per i campi di sterminio di Belzec e Treblinka. Qui, Karski, camuffato con l’uniforme di un miliziano ucraino, vide arrivare migliaia di ebrei affamati e terrorizzati, sentì le urla strazianti di donne e bambini e l’odore della carne umana bruciata.
Gli ebrei volevano che il mondo sapesse dei campi di sterminio tedeschi. A settembre si intensificarono le deportazioni da Varsavia. Feiner, che finirà tra le centinaia di migliaia di vittime, comunicò a Karski le richieste da passare alle Cancellerie occidentali: gli alleati, una volta informati dello sterminio, dovevano assumersi la responsabilità di fermarlo, anche bombardando le città tedesche: “Faccia in modo che nessun leader occidentale possa dire che non sapeva.”
Karski giunse a Londra nel novembre del 1942. Il suo rapporto confermò ai dirigenti polacchi del governo in esilio ciò che da più di un anno e mezzo sapevano bene: i tedeschi stavano attuando lo sterminio totale della popolazione di origine ebraica. Fu quindi portato a riferire le sue esperienze direttamente al primo ministro Winston Churchill e poi ad altri esponenti politici e giornalisti. Ma fu ascoltato con molto scetticismo. Nel dicembre del 1942, basandosi sul suo rapporto, il governo polacco in esilio chiese agli Alleati di intervenire in aiuto degli ebrei polacchi e fermare lo sterminio di massa. Non fu ascoltato. Nel febbraio del 1943 Karski incontrò il Segretario di Stato britannico Anthony Eden che risponde alla richiesta di aiuto sostenendo che l’Inghilterra aveva già accolto 100 mila profughi polacchi: non era possibile fare di più.
Karski ne informò l’esponente socialista, ebreo polacco, membro del governo in esilio, Szmul Zygielbojm, che, impotente, si uccise il 12 maggio 1943 con una lettera di protesta per l’indifferenza generale verso lo sterminio ebraico. A Varsavia era scoppiata la rivolta nel Ghetto, raso al suolo dai nazisti dopo la disperata resistenza dei suoi abitanti. Nulla fu fatto per fermare la macchina dello sterminio.
Due mesi dopo, nel luglio 1943, Karski fu mandato negli Stati Uniti, dove ritrovò la stessa inerzia delle autorità con cui si è scontrato in Gran Bretagna.
In un concitato incontro con il presidente Franklin Delano Roosevelt chiese di bombardare direttamente i campi di sterminio, in modo di permettere ai prigionieri di fuggire. Ma non fu ascoltato. Karski sperò di influenzare Felix Frankfurter, magistrato ebreo della Corte Suprema, che però, dopo averlo incontrato, dichiarò: “Io non dico che questo giovane stia mentendo, ma che sono incapace di credergli”. La classe politica statunitense, per non parlare dell’opinione pubblica, era incerta sul fatto di portare direttamente aiuto agli ebrei, un po’ per carenza di informazioni ma soprattutto per una visione molto settoriale e confusa di tutta la questione della guerra contro Hitler.
Di fatto, molti governanti e politici occidentali furono in qualche modo complici indifferenti dello sterminio. A un Karski che chiedeva con insistenza di fermare la violenza, usando la forza, molti risposero accampando mille scuse e cavilli: lui suggeriva di bombardare e loro gli dicevano che quello non era il momento e che la questione andava approfondita.
Conclusa la sua infruttuosa missione, Karski voleva ritornare in Polonia, ma i suoi superiori glielo impedirono: ormai era un volto noto per i tedeschi e quindi era meglio che rimanesse negli Stati Uniti. Un anno dopo, la Polonia passò nell’orbita sovietica. Karski rimase quindi negli Stati Uniti dove conseguì un dottorato alla Scuola di diplomazia americana. Nel 1954 divenne cittadino statunitense e Insegnò alla Georgetown University fino al 1984, quando andò in pensione. Tenne molte conferenze esprimendosi contro il comunismo e per una Polonia libera e indipendente. Dedicò più di dieci anni alla stesura del suo importante libro The Great Powers and Poland:1919-1945. From Versailles to Yalta (University Press of America, Lanham-Maryland 1985). Nel 1965 sposò Pola Nirenska, ballerina e coreografa di origine ebreo-polacca, unica sopravvissuta alla Shoah di una famiglia numerosa.
Per molti anni Karski preferì non parlare della sua “missione impossibile”, e si sentì uno sconfitto: “Ho la sensazione che gli ebrei non abbiano avuto fortuna con me, ero troppo insignificante per suscitare interesse alla causa”.
Karski considerò insuccesso personale come il fallimento dell’umanità intera e in una conferenza del 1982 descrisse l’indifferenza verso la Shoah come il secondo peccato originale dell’uomo: “Dio mi ha dato il compito di parlare e di scrivere durante la guerra, quando c’erano le possibilità di aiutare. Ma io non ci sono riuscito. Dopo la fine della guerra ho appreso che i governi, i responsabili politici, gli studiosi, gli scrittori non sapevano cosa stava accadendo agli ebrei. Sono stati colti di sorpresa. L’assassinio degli ebrei era un segreto… Allora mi sono sentito un ebreo. Come la famiglia di mia moglie – tutti loro sono morti nei ghetti, nei campi di concentramento, nelle camere a gas – così tutti gli ebrei sterminati, sono diventati la mia famiglia. Ma io sono anche un cristiano ebreo. Io sono un cattolico praticante. Sebbene io non sia un eretico, la mia fede mi dice che l’umanità ha commesso un secondo peccato originale con le sue azioni, con l’omissione di soccorso, con l’indifferenza, con l’insensibilità, con l’egoismo, con l’ipocrisia e una fredda razionalizzazione. Questo peccato perseguiterà l’umanità fino alla fine dei tempi. Questo peccato mi perseguita. E io voglio che sia così”.
Nel 1981, su invito di Elie Wiesel, Karski ricordò: “Il Signore mi ha assegnato un ruolo di messaggero e scrittore durante la Guerra, quando, così mi sembrava, sarebbe potuto essere utile. Non lo fu… allora divenni un ebreo. Come la famiglia di mia moglie –tutta perita nei ghetti, nei campi di concentramento, nelle camere a gas- così tutti gli ebrei assassinati sono diventati la mia famiglia. Ma sono un ebreo cristiano. Sono un cattolico praticante. Anche se non sono un eretico, la mia fede mi dice che l’umanità ha commesso il suo secondo peccato originale attraverso l’azione, l’omissione, l’ignoranza auto imposta, l’insensibilità, l’interesse egoistico, l’ipocrisia o ancora la razionalizzazione priva di emozioni”.
Moshe Bejski, che l’anno successivo gli conferì la medaglia di “Giusto tra le Nazioni“, disse di lui: “Mi ricorderò sempre la rabbia che aveva in corpo quando parlò davanti a me il giorno in cui ricevette l’onorificenza di Yad Vashem. Era ancora furioso con Roosevelt e Churchill, i due potenti capi della coalizione che non lo avevano ascoltato. Si sentiva uno sconfitto e io lo rincuoravo”.