Leggere lo Sport, la terza edizione all'insegna di cultura, inclusione e solidarietà

Leggere lo Sport, la terza edizione all’insegna di cultura, inclusione e solidarietà

La manifestazione promossa dal Comune di Oliena in collaborazione con la Fondazione Levi Pelloni e la Fisdir (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali)

Gli interventi di Gianfranco Zola, Meo Sacchetti, Marco Fasanella e Manù Benelli.  Evento conclusivo dedicato a Gigi Riva con la presentazione del libro di Carlo Vulpio.

Si è conclusa con successo la terza edizione di “Leggere lo Sport”, la rassegna culturale-sportiva promossa dall’Amministrazione comunale di Oliena in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Levi Pelloni e la FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali). L’edizione di quest’anno, che ha avuto luogo il 17 e 18 maggio, è stata caratterizzata, rispetto al passato, da un coinvolgimento senza precedenti della scuola e delle società sportive. I ragazzi di Oliena hanno risposto con grande entusiasmo alle sollecitazioni dei promotori dell’iniziativa, avendo l’opportunità di confrontarsi da vicino con campioni del calibro di 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐟𝐫𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐙𝐨𝐥𝐚, Marco Fasanella, 𝐌𝐞𝐨 𝐒𝐚𝐜𝐜𝐡𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐞 𝐌𝐚𝐧𝐮 𝐁𝐞𝐧𝐞𝐥𝐥𝐢, vere e proprie eccellenze e modelli positivi nelle loro rispettive discipline. Le loro testimonianze, emerse dalle autobiografie, sono state una potente fonte di ispirazione per i giovani presenti, trasformando l’evento in un’esperienza formativa indimenticabile. Non si è trattato solo di lezioni tecniche, ma di vere e proprie lezioni di vita. Attraverso un dialogo aperto e coinvolgente, sono stati affrontati temi cruciali come la lealtà, intesa non come mera regola di gioco ma valore intrinseco dell’animo umano; il valore dell’accettazione dell’altro, non come tolleranza ma come celebrazione della diversità; il bullismo; il sacrificio necessario per raggiungere i propri obiettivi; e l’importanza di valorizzare l’unicità di ogni individuo.

La rassegna ha dimostrato ancora una volta come lo sport e la cultura possano felicemente intrecciarsi, offrendo momenti di crescita personale e collettiva, contribuendo a rafforzare il tessuto sociale della comunità. Un obiettivo ampiamente centrato e auspicato in apertura dagli interventi del sindaco di Oliena Sebastiano Congiu, di Lara Serra, oggi consigliera regionale ed ex vicesindaca di Oliena, e di Sandro Floris, delegato Coni della provincia di Nuoro. Grazie all’entusiasmo dei partecipanti e alla qualità degli interventi, “Leggere lo Sport” si è confermato pertanto un appuntamento di grande rilevanza e impatto.

Gianfranco Zola è stato il protagonista del primo evento, che ruotava intorno alla presentazione del progetto “Chircande a Zola” e del giornale digitale incentrato sulle figure di grandi campioni dello sport realizzato dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Dorgali.

Chircande a Zola” è un progetto maturato nel corso della seconda edizione di “Leggere lo Sport” grazie a una felice intuizione di Adalberto Scemma, firma storica del giornalismo e docente di Letteratura Sportiva all’Università di Verona, che ha voluto coinvolgere i ragazzi della IIA dell’Istituto Comprensivo di Oliena – coordinati dal prof. Pasquale Puligheddu – in un lavoro di scrittura che culminerà a breve nella pubblicazione di un podcast sulla figura di un campione che si è fatto apprezzare ovunque, di cui è stato ricostruito il suo percorso umano e sportivo attraverso interviste ai parenti più stretti, vecchi amici ed ex compagni di squadra. Un modo originale e creativo per stimolare nei ragazzi l’amore per la lettura e per la scrittura partendo proprio dalla storia del loro illustre concittadino. Scrittura per farsi ascoltare e non per farsi leggere nelle intenzioni del giornalista mantovano, che è partito dalla considerazione che oggi si legge sempre meno e quindi ben vengano i nuovi strumenti di comunicazione (come appunto i podcast) che permettono di catturare maggiormente l’attenzione di chi ascolta.

Scemma, in collegamento video con Oliena, ha voluto ricordare che in realtà il principale artefice di questa sfida è stato il grande Gianni Mura (scomparso nel 2020), che già molti anni fa avvertiva la necessità di consegnare al mito, quindi ben oltre il confine del tempo, una figura che appartiene già oggi, insieme con Gigi Riva, alla leggenda sportiva della Sardegna. Riva e Zola sono giocatori molto diversi nella loro storia e nell’espressione del gesto tecnico. “Da una parte – sottolinea il giornalista-scrittore – l’eroismo guerriero di Riva, dall’altra la forza misteriosa, silente di Zola. Uno è Achille, l’altro Ulisse. Mura li amava entrambi perché conosceva bene le radici di quella fierezza che era anche la sua. Quelle radici al tempo stesso aspre e dolci e che appartengono di diritto alla Sardegna”.

Lo stesso Zola è intervenuto al termine della presentazioni dei lavori dei ragazzi, ricordando quanto si siano rivelati preziose le lezioni apprese in famiglia così come le esperienze maturate nei campetti polverosi della provincia di Nuoro prima di spiccare il volo verso il calcio professionistico. “Quelli che ho ricevuto da da mia madre e da mio padre sono stati innanzitutto insegnamenti di vita, di comportamento, improntati al rispetto verso il prossimo. Fondamentali per farmi diventare quel che sono e per consentirmi di forgiare nel migliore dei modi il carattere e la mia personalità, aiutandomi a superare le tante difficoltà che inevitabilmente ho dovuto affrontare nei campi di calcio e nella vita di tutti i giorni”. Il campione di Oliena, oggi vicepresidente della Lega Pro, nel rivolgersi ai numerosi ragazzi presenti, li ha esortati ad andare avanti nell’individuare e perseguire con determinazione i propri obiettivi senza farsi soverchiare dagli ostacoli e senza smarrire per strada la propria autostima. “Non crediate che io alla vostra età avessi chissà quali doti, ero come voi. La differenza – nello sport così come in altri campi – la fanno le forti motivazioni, una mentalità orientata al raggiungimento di determinati obiettivi e nel restare focalizzati nel voler perseguire un miglioramento continuo. Così come la resilienza, la capacità di riprendersi prontamente dalle sconfitte e dalle avversità, di vedere i fallimenti come opportunità di apprendimento e di crescita”. E lo sport da questo punto di vista costituisce una palestra ideale per allenare mente e corpo, svolge una funzione positiva sempre e in ogni circostanza, qualunque sia la strada che uno vuole percorrere. “Così come la cultura, la lettura dei classici della letteratura e delle biografie dei grandi uomini – ha aggiunto Zola – ci aiutano ad avere una visuale più aperta rispetto al mondo, e questo rappresenta un validissimo sostegno e non un ostacolo – come si credeva erroneamente in passato – anche per chi vuole emergere nello sport agonistico.”

 

Zola ha voluto presenziare nel pomeriggio agli incontri dedicati al tema dell’inclusività e alla presentazione del libro di Marco Fasanella – campione paralimpico di calcio a 5 – dal titolo “Per non lasciare indietro nessuno”. Introdotto da Carmen Mura, delegata regionale Fisdir, Fasanella ha conquistato tutti i presenti con la sua simpatia irrefrenabile e con la sua storia coinvolgente di ragazzo con sindrome di down che non considera la sua condizione un freno, ma dimostra al contrario che con la forza di volontà si possono superare i propri limiti e proporsi come modello di vita per tante persone. “Il nostro calcio – afferma – può essere considerato da esempio anche per la Serie A: è un calcio pulito e rispettoso di arbitri e allenatori. Ci impegniamo tantissimo per seguire tutte le istruzioni che ci vengono date ed è uno sport che accoglie tutti”. Quella di Marco (che ha in bacheca un ricco palmares tra cui un titolo mondiale, un primo posto ai ‘Trisome Games’ 2016 e un secondo posto agli Europei 2018) è una bella dimostrazione di come, attraverso lo sport, sia possibile costruire un mondo più equo e compassionevole, in cui ogni individuo ha la possibilità di realizzare il proprio potenziale e di essere pienamente accettato per ciò che è.

L’incontro con Meo Sacchetti, l’artefice principale e condottiero dello straordinario quanto insperato trionfo della Dinamo Sassari in campionato (stagione 2014-2015) al termine di una emozionante serie finale di sette partite contro Reggio Emilia, ha aperto la seconda giornata. Quella alla guida della Dinamo è stata un’annata memorabile per il quintetto sassarese: oltre allo scudetto sono arrivati infatti anche la Coppa Italia e la Supercoppa, un triplete fantastico. Un successo paragonabile per molti versi alla storica vittoria del Cagliari di Gigi Riva nel 1970 e che gli ha aperto la strada alla guida della Nazionale nel 2017 in sostituzione di Ettore Messina. E anche in qualità di Ct azzurro Sacchetti riuscirà a centrare obiettivi indimenticabili e non scontati, riportando la squadra italiana a disputare la fase finale di un Campionato del Mondo – quello del 2019 in Cina – dopo un’assenza di 13 anni. E, in seguito, il traguardo della qualificazione ai Giochi Olimpici di Tokyo, che all’Italia mancava da ben 17 anni.

Intervistato da Stefania De Michele, giornalista di Euronews dal passato di cestista ai massimi livelli (in serie A1 e con la nazionale maggiore), Sacchetti ha ripercorso i passaggi fondamentali del suo fantastico percorso di atleta e di coach, ben raccontati nel libro autobiografico dal titolo “Il mio basket è di chi lo gioca” (Add editore), scritto in collaborazione con Nando Mura. Un titolo eloquente, che si basa sul concetto di fondo secondo cui i giocatori hanno un peso maggiore dell’allenatore nell’economia di una squadra. “Non ho mai visto una squadra con dei giocatori scarsi vincere qualcosa di importante” – ha detto. L’allenatore deve in altri termini saper scegliere, fare meno danni possibili e creare le condizioni per far rendere al massimo i suoi giocatori, senza imbrigliarli eccessivamente in schemi astrusi. “Sono i giocatori i veri protagonisti, il mio compito di allenatore è solo quello di cercare di aiutarli a far emergere le loro doti, creando un equilibrio tra i vari talenti. Perché il basket è e rimane un gioco di squadra. È la mia ‘maieutica’ sportiva, senza scomodare troppo Socrate”. Per questo i suoi ricordi più belli sono quelli legati al suo passato da atleta, a cominciare dall’argento olimpico a Mosca nel 1980 e dall’oro conquistato agli europei di Nantes nel 1983 in un dream team azzurro guidato da Sandro Gamba e formato da campioni come Meneghin, Marzorati, Caglieris, Riva, Villalta, Bonamico, Brunamonti e Tonut. Tutti atleti dotati di notevole spessore umano oltre che di talento. Tra i due allori Meo Sacchetti mette al primo posto senza indugio l’argento olimpico, quello che ricorda con più suggestione. “Perché l’Olimpiade è pur sempre la competizione per eccellenza nello sport, è il massimo che può raggiungere uno sportivo, anche se non vince nulla. Noi invece siamo tornati a casa con la medaglia d’argento al collo, un secondo posto che vale quanto una vittoria. I ricordi legati alle Olimpiadi sono i più belli anche perché ripensi ai momenti vissuti nel villaggio olimpico a contatto diretto con atleti che magari avevi visto prima solo in tv. Se penso ai giochi di Los Angeles mi vengono in mente campioni come Carl Lewis nell’atletica e Michael Jordan nel basket, solo per citare due figure leggendarie che hanno fatto la storia dello sport”. Ai più giovani, in particolare agli alunni dell’Istituto comprensivo di Oliena e agli allievi della società Helion Basket che hanno ascoltato in religioso silenzio la lezione, l’ex coach della Dinamo ha voluto spiegare quale debba essere il giusto approccio iniziale nella pratica di questo sport: “Ricordatevi sempre di quando eravate bambini e giocavate per il semplice piacere di giocare. Non dovete mai smarrire quello spirito se volete crescere e raggiungere risultati importanti nella pallacanestro. È un insegnamento che deve valere sempre, sia per un giocatore delle categorie giovanili sia per chi deve affrontare le qualificazioni per andare alle Olimpiadi”.

Da una leggenda del basket a una della pallavolo, a un’atleta che può essere considerata a pieno titolo tra le più grandi e vincenti giocatrici di volley italiane dall’alto di 11 scudetti, 5 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, una Coppa Cev, un Mondiale per Club e oltre 300 presenze in nazionale: Manuela (Manù) Benelli. Ad Oliena, intervistata da Carmen Mura, ha presentato il suo libro autobiografico “Fuori dal corpo, la forza e la voglia di essere unici” (Lab Dfg), che si avvale della prefazione di Michele Marchiaro, attuale allenatore della Pallavolo Pinerolo. All’incontro è intervenuta anche Luisella Milani, vicedirettrice tecnica della Volley Academy di Ravenna, fondata dalla stessa Benelli.

Manù Benelli ha voluto precisare in apertura che non era certo una sua intenzione, quando ha pensato di scriverla, considerare la sua autobiografia come un’opera autocelebrativa ma piuttosto un libro in cui svelare il percorso – fatto di passione, sudore, forti motivazioni – che l’ha condotta a diventare quella pallavolista di successo che gli appassionati del Volley ben conoscono. Nel titolo Manù ha fatto indirettamente riferimento a una definizione che diede un giorno il suo allenatore e mentore Pupo Dall’Olio del suo modo inusuale di palleggiare: “fuori dal corpo”, per l’appunto. Che ai più poteva apparire come un difetto e che invece si è rivelato un vero e proprio punto di forza. Anche qui una grande lezione per i più giovani: “permette di far capire in che modo un difetto può diventare una caratteristica che ti rende unica”.

Scorrendo le pagine del libro troviamo soprattutto i grandi insegnamenti che può dare la pratica sportiva: “la pallavolo per me è la mia vita, mi ha insegnato a vivere e così ho voluto fare in modo di aiutare gli altri a crescere attraverso lo sport, da allenatrice e da educatrice.” Un’attività che oggi l’ex campionessa porta avanti quotidianamente con la Volley Academy con sede nella sua Ravenna, affiliata alla Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV). Nata con l’idea non solo di contribuire a migliorare la qualità tecnica di chi pratica questa disciplina ma anche con il nobile intento di trasmettere, attraverso lo sport, un messaggio di amicizia reciproca, di rispetto delle differenze, di etica e passione.

Alla figura di Gigi Riva è stato dedicato il momento conclusivo della rassegna, con la presentazione del libro di Carlo Vulpio “Il sogno di Achille. Il romanzo di Gigi Riva” (Chiarelettere edizioni), a cui hanno preso parte l’autore (firma del Corriere della Sera), Gianluca Scroccu (professore di Storia Contemporanea all’Università di Cagliari) e Giacomo Mameli, scrittore e decano dei giornalisti della Sardegna.

Nel libro di Vulpio c’è il racconto dell’epopea del calciatore, la cui grandezza emerge dalle pagine in maniera limpida, sia come atleta sia come uomo. E ci fa comprendere, scavando nella sua complessa personalità e nel contesto sociale che fa da sfondo alle sue imprese, i motivi del suo rapporto inscindibile con la Sardegna e i sardi. Una storia che ha inizio da Leggiuno, in provincia di Varese, e attraversa l’Italia seguendo le magie, le sfide sportive ma anche umane, le ombre del suo protagonista. L’avventura di Riva e del Cagliari è sogno e realtà – si legge nella presentazione. “Da allora non ha mai smesso di essere tramandata, di generazione in generazione, da chi c’era e da chi l’ha sentita raccontare. Un fatto rivoluzionario, inimmaginabile, meraviglioso.“

Gigi Riva è stato un emblema nazionale (sardo e italiano) di orgoglio, determinazione, talento eccezionale e la sua morte ha avuto un impatto emotivo devastante non solo sugli appassionati di calcio. Stiamo parlando di un uomo che ha saputo ispirare più generazioni – del passato, presenti e future – soprattutto grazie a una condotta esemplare capace di rappresentare al meglio i valori identitari, etici e civili della Sardegna, come ha osservato il professor Gianluca Scroccu nella prolusione svolta in occasione dell’anno accademico dell’Università di Cagliari, dedicata proprio alla figura di Gigi Riva. “Quelle immagini toccanti dei funerali – ha sottolineato lo storico – ci hanno fatto capire quanto un mito sportivo sia anche politico nel senso di appartenente alla sfera pubblica, per quella forza di richiamare un momento di storia unificante legato ad un successo sportivo, all’interno della sua contestualizzazione temporale nell’Italia che esauriva la fase espansiva degli anni Sessanta ed entrava in un decennio complicato come quello degli anni Settanta.” 

Di grande interesse, infine, la testimonianza di Giacomo Mameli, che ha ricordato l’ultimo incontro con Riva avvenuto due mesi prima che morisse: il giornalista gli aveva strappato la promessa che sarebbe andato nella sua Perdasdefogu per vedere da vicino il murale – il più grande mai realizzato in Sardegna, ad opera dell’artista di Loceri Michela Casula – nel quale il popolare “Rombo di Tuono” è raffigurato nel famoso gol in rovesciata, segnato il 18 Gennaio del 1970 nello Stadio Romeo Menti di Vicenza, forse il più bello della sua leggendaria carriera.