Ricordando la Grande Guerra di Piero Melograni

Pino Pelloni, Luciana Ascarelli, Sebastiano Catte, Augusta Ciotti, Antimo Della Valle, insieme agli amici della Fondazione Levi Pelloni, ricordano (sabato 3 novembre in via Vittoria 24 a Roma) il grande storico italiano scomparso nel 2012 in occasione del centenario della fine della Grande Guerra.

Pino Pelloni e gli amici della Fondazione Levi Pelloni hanno preso a pretesto, in occasione della ricorrenza del centenario della Grande Guerra, la lettura del libro “Storia politica della Grande Guerra, 1915-1918” di Piero Melograni per ricordare la figura umana ed intellettuale dello storico romano.

Il volume di Melograni è un ottimo strumento storiografico per cercare di capire leggendola dalla parte di chi l’ha vissuta (soldati, medici, infermieri, civili) la follia pura ed inutile della guerra. Più di un milione di morti italiani in massima parte contadini strappati alla propria terra, la più parte meridionali, mandati a morire nel fango della trincea da una classe militare incompetente nella confusione dei giochi e giochetti politici dell’Italietta di allora. Per Pino Pelloni, amico e collaboratore di Melograni, il libro resta, insieme ad “Un anno sull’altipiano” di Lussu ed a “Il sergente nella neve” di Rigoni Stern un documento doloroso ed indispensabile per non dimenticare mai le cause e gli interessi che contraddistinguono tutte le guerre.

La Storia politica della Grande Guerra di Piero Melograni è un classico della storiografia sul primo conflitto mondiale, pubblicato per la prima volta nel 1969 e da allora sempre riproposto volutamente immutato dall’autore per non cambiarne la carica anticonformista: un’opera di rottura rispetto agli studi precedenti, tesi alla retorica e alla mitizzazione di impronta ancora fascista, ma anche più corretta rispetto alla storiografia radicaleggiante degli anni ’70 e ’80. Anticipando tendenze che avrebbero poi preso piede, Melograni utilizza i documenti degli archivi pubblici per studiare gli stati d’animo collettivi; osservando i fatti con occhio laico e privo di pregiudizi ideologici, si concentra sui rapporti tra esercito, politica e società civile, per restituire il vero e terribile volto della Grande Guerra, come fu vissuta dalle masse. Un conflitto totale, di logoramento, grande distruttore di uomini ma anche grande suscitatore di energie, così diverso dal mito glorioso della guerra risorgimentale vissuto dai padri.

L’autore aveva meno di quarant’anni e il libro (era il suo primo libro) lo fece apprezzare in Italia e all’estero come uno dei più giovani e brillanti studiosi della Grande Guerra. Il volume era dedicato alla partecipazione italiana al conflitto ma Melograni dimostrava di conoscere anche il lavoro condotto all’estero da due generazioni di storici. La prima, guidata da Pierre Renouvin, era ancora concentrata sulla questione delle responsabilità e delle colpe. L’altra, invece, si ispirava alle tesi di Lenin e della III Internazionale. La guerra, nella più radicale delle interpretazioni, era stata provocata dalla chiusura degli sbocchi commerciali aperti con il sopruso e la violenza dall’imperialismo. Questa interpretazione, che oggi appare così poco convincente, ebbe il merito, ammise Melograni, di ricondurre l’analisi verso la concretezza, la documentazione d’archivio, i conflitti di classe.

Recensendo questo suo libro di esordio, Montanelli così si espresse: “Melograni ha tutte le qualità delllo storico di razza, più una che ai nostri fa cospicuamente difetto: l’umiltà. Melograni scrive per il lettore, non lo perde mai di vista, cerca di convincerlo,non d’intimidirlo con sfoggi di cultura, lo tratta da pari a pari. E anche un altro riconoscimento gli devo. Non lo conosco, ho detto, non so se viene dall’Università. Non so nemmeno sotto quale bandiera politica militi. E anche dopo aver letto il suo libro, continuo a ignorarlo.

Da un articolo apparso su “Il Sole 24 Ore” l’8 giugno 2014 a firma di Dario Biocca:

“Gli storici hanno cominciato a studiare la guerra del 1914 non appena questa finì, nel novembre del 1918. Non era però una “autentica” storiografia; molti autori erano reduci, soldati o ufficiali, e con i loro studi vollero ribadire (e, se possibile, dimostrare) le responsabilità degli imperi centrali. Era una storia patriottica, aspra, ispirata dal tribunale dei vincitori.

Le prime ricerche sulla vita di trincea presero avvio negli anni Trenta ma, anche in questo caso, non placarono polemiche né rancori. Molti studiosi dichiararono che l’eroismo dimostrato dai soldati era lo specchio e la misura della loro partecipazione alla guerra. Altri, al contrario, sostennero che i soldati rimasero al loro posto perché vi furono costretti da una ferrea disciplina militare. La loro protesta rimase inespressa, resa muta dalla censura e dai plotoni di esecuzione.

Solo nel secondo dopoguerra, finalmente, la storiografia si è occupata delle commemorazioni, dei monumenti, della memorialistica e dell’uso pubblico che della Grande guerra si era fatto da parte di nazioni, governi, partiti, associazioni e organizzazioni di ex combattenti. È stata questa fase, nel giudizio di Melograni, a produrre i migliori risultati perché più libera da condizionamenti politici, nazionalismi e ideologie. Per la prima volta sono emerse le vicende di milioni di uomini e donne precipitati nel vortice della guerra, le sofferenze patite e inflitte ma anche le aspettative di rinnovamento, persino l’immaginazione e l’utopia. La storia e il ricordo della guerra sono tornati così a svolgere un ruolo attivo, protagonisti anche delle vicende dei decenni successivi.

Melograni scrisse la Storia politica della Grande Guerra negli anni Sessanta al termine di un formidabile lavoro in archivio. L’autore aveva meno di quarant’anni e il libro (era il suo primo libro) lo fece apprezzare in Italia e all’estero come uno dei più giovani e brillanti studiosi della Grande guerra. Il volume era dedicato alla partecipazione italiana al conflitto ma Melograni dimostrava di conoscere anche il lavoro condotto all’estero da due generazioni di storici. La prima, guidata da Pierre Renouvin, era ancora concentrata sulla questione delle responsabilità e delle colpe. L’altra, invece, si ispirava alle tesi di Lenin e della III Internazionale. La guerra, nella più radicale delle interpretazioni, era stata provocata dalla chiusura degli sbocchi commerciali aperti con il sopruso e la violenza dall’imperialismo.

Questa interpretazione, che oggi appare così poco convincente, ebbe il merito, ammise Melograni, di ricondurre l’analisi verso la concretezza, la documentazione d’archivio, i conflitti di classe. Melograni però aveva abbandonato il marxismo già da molti anni: “Ricordo che nella notte fra il 4 e il 5 novembre ’56, mentre i carri armati sovietici invadevano Budapest, non riuscii letteralmente a prender sonno. Il timore di perdere la fede fu finalmente sopraffatto dalla rabbia di non averla perduta prima”.

Nella Storia politica della Grande Guerra Melograni descrive la società italiana in una fase di estrema tensione che ebbe inizio ben prima delle “radiose giornate” e si protrasse ben oltre l’offensiva di Vittorio Veneto. Il testo indaga su aspetti pubblici e privati, esperienze collettive e vicende individuali, episodi di entusiasmo e di sconforto, di ingenuità e scaltrezza, dedizione e opportunismo. Il libro descrive quindi la vita nelle trincee e nelle retrovie, nelle città e nelle campagne; ricostruisce infine le strategie dello Stato maggiore e le pressioni della grande industria ma descrive anche, in dettaglio, i tessuti con cui erano cucite le ruvide uniformi dei soldati e gli scarponi da montagna.

Questo metodo di studio a tutto campo, che Melograni definì “laico” perché privo di modelli ideologici e precostituiti, era del tutto nuovo e produsse straordinari risultati; fu subito condiviso da gran parte della storiografia italiana. Esso costituisce, ancora oggi, il principale lascito del libro. Gli studi sulla guerra, da allora, intrapresero strade nuove. Negli anni seguenti Melograni studiò con particolare interesse la relazione tra modernità, élites politiche e società di massa. La classe dirigente italiana nel corso della Grande guerra gli era apparsa impaurita, legata al passato, incapace di elaborare strumenti efficaci di comunicazione, eppure determinata a ottenere “benefici interni”, cioè a esautorare e colpire i partiti dell’opposizione. Questa miopia, di fronte a eventi epocali e al sacrificio di tante vite, era per Melograni un “machiavellismo misero” e rivelava l’incomprensione delle trasformazioni avvenute nella società. Pochi anni dopo quella stessa miopia avrebbe consegnato il sistema parlamentare italiano alla dittatura. La distanza tra i capi e le masse, evidenziata già nelle prime pagine del libro sulla guerra, spinse Melograni a intraprendere una nuova ricerca, pubblicata nel 1977 con il titolo ‘Saggio sui potenti’. Il pamphlet era dedicato allo studio della dittatura e del consenso ma il testo, come ha ricordato in più occasioni il suo autore, era anche una lunga, appassionata postfazione alla Storia politica della Grande Guerra”.