La prefazione di Pino Pelloni al libro “Il segreto di Villa Littoria” di Giancarlo Germani.
Questo volume, opera prima di Giancarlo Germani che, recuperando i ricordi di una storia familiare, che altrimenti sarebbe finita nel dimenticatoio dei congiunti superstiti, ha riscritto vicende di persone e di una comunità nei giorni drammatici della seconda guerra mondiale, mi induce a porre una serie di considerazioni.
Per intenderci bene, le persone sono i suoi familiari, i Germani e i Sabene, nonni e nonne, fratelli, cugini e nipoti, viandanti e ospiti vari. E la comunità in scena è quella, un po’ campagnola ed un po’ alberghiera, della Fiuggi di quegli anni. Le considerazioni da consegnare al lettore è che ci si trova dinanzi ad un libro particolare che gioca sul versante dell’esigenza di consegnare alla memoria collettiva una serie di figure reali che hanno agito in uno scenario particolare. E che nel redigere queste pagine, onde raggiungere il proprio scopo, l’autore ha agito una narrazione romanzesca. Giocando i ‘materiali’ a sua disposizione in bilico tra memoria e ricordo.
È bene sapere che il ricordo è di chi ha vissuto l’evento, mentre la memoria è sia di chi ha vissuto l’evento sia di chi lo ha sentito raccontare. E la Storia è indagine e interpretazione del passato di cui può far parte tanto la memoria quanto il ricordo. Ma ricordo, memoria e storia non sono compartimenti stagni, al contrario sono legati da rapporti circolari. Come amava ricordare lo storico Piero Melograni: “la memoria tende a rendere presente il passato; la storia ne ratifica e ne persegue la irreparabile separazione”. Si potrebbe dire che, in un certo senso, la memoria rifiuta la morte, mentre la storia l’accetta.
Allora questo Il segreto di Villa Littoria è più romanzo o più libro di storia? Ed è qui, nelle vicende degli ‘abitanti’ di questa pensione con giardino, oggi chiamata Villa Gaia, che la Storia grande si consuma. Dalla vicenda del Maresciallo Graziani, al fronte di Cassino, alle sue vittime e agli sfollati peregrinanti, alla razzia del Ghetto di Roma. Sino alla coraggiosa professione di carità nell’aiutare donne, uomini e bambini ebrei in fuga dalla paura. Senza pregiudizio alcuno e osservando, senza saperlo, quel dovere universale di giustizia che chiama tutti gli uomini, appartenenti a tutte le nazioni del mondo (settanta secondo la tradizione ebraica), a compiere azioni che possano portare a salvare vite umane, anche una sola, perché, come affermato nel Talmud, “Chi salva una vita umana salva un mondo intero”.
Il lavoro di Giancarlo Germani, debitore di tanti racconti orali, si serve della ‘storia’ come disciplina del contesto, ben sapendo che la memoria è “il presente del passato”. E agendo su questi due registri interpretativi ci ha restituito un piccolo pezzo di storia di quel “secolo breve” che ancora oggi è in parte recuperabile attraverso la memoria. Oggi, che di memoria si parla assai più che di storia, il recupero e la considerazione della prima appare come un transito obbligato verso la conoscenza della seconda.
E che poi questa ‘memoria’ restituisca a noi tutti atmosfere e figure di un mondo non poi così lontano, riconsegnandoci emozioni e suggestioni di una Fiuggi che non c’è più, non può che consolarci. Come una cartolina sbiadita dal tempo e tirata fuori dal cassettone dimenticato in soffitta. Una soffitta, quella di Villa Littoria, che ha custodito quel bisogno del passato in cui affondare le proprie radici e che permetterà a tutti noi che affronteremo queste pagine di riconciliarci con le memorie collettive e la storia di una comunità di cui, nel bene e nel male, facciamo parte.